Allora da me emergerà qualcosa che sarà già essenzialmente migliore di quanto sarebbe emerso senza questo lavoro preparatorio (J. Beuys)
Alejandro
Jodorowsky, profondo conoscitore dei Tarocchi, psicomago,
scrittore, cineasta, attore e restauratore, assieme a Philippe
Camoin, del mazzo del Tarocco di Marsiglia, scrive così nella sua
introduzione agli Arcani Maggiori:
Dopo essermi sbarazzato di tutti quegli “iniziati” con le loro versioni “esoteriche”, ho deciso che il vero Maestro erano proprio i Tarocchi […] Usando una lanterna magica, ho proiettato gli Arcani su grandi fogli di cartone e li ho ricopiati fin nei minimi dettagli. Mi identificavo con ogni personaggio, gli davo una voce e davo una voce anche ai suoi particolari … (Jodorowsky, La via dei tarocchi, 2012, p. 115)
Il racconto di questa pratica continua. Jodorowsky si diverte incessantemente “a meditare e a ripassare per ore le carte una per una”, si pone “migliaia di domande”, ragiona in “trasparenza” come se tutte le figure potessero sovrapporsi e completare un quadro sempre più ampio e ricco di significati. Addirittura arriva a scoraggiarsi e a mollare tutto. Scarica il mazzo in un cassetto finché una notte, in sogno gli verrà indicata la via da seguire.
La
conclusione di questa esperienza poliedrica è per tutti
significativa, in modo particolare almeno per quanto riguarda un punto:
Chiunque affermasse: “Questo è il significato tradizionale dell'Arcano “, costui sarebbe un ingenuo apprendista oppure un disonesto ciarlatano” (Ivi, p. 116)
Il
pensiero e la pratica di Jodorowsky ci fanno capire che le “frasi
ottiche” dei tarocchi, i significati di ogni singola carta, sono di
fatto irriducibili a poche righe di interpretazione, e che d'altro
canto, molte righe, messe in fila con tono da erudito produrrebbero
confusione, attrito, tensione – soprattutto in fase di consulto.
Per
entrare nel vivo di un “esercizio tarologico” occorre vedere
col senso dell'artista, richiamare alla “costellazione creativa
di forze” in virtù di un'attitudine tanto speciale quanto
ordinaria: la Preparazione. Essa è ampiezza, ma non dispersione;
focalizzazione e non semplice riduzione.
In altre parole – scrive Joseph Beuys – dovevo prepararmi per tutta la vita, comportandomi in modo tale che neanche un momento sfugga a questa preparazione. Che io faccia giardinaggio o parli con le persone, che io mi trovi in mezzo al traffico o immerso nella lettura di un libro, che stia insegnando […] devo sempre avere la presenza di spirito, la visione, la prospettiva più ampia, per cogliere il contesto e il quadro generale delle forze. In altre parole, sono sempre in preparazione e progettazione […] allora avrò le risorse necessarie. Avrò i princìpi (J. Beuys, Che cos'è l'arte?, 2015, p. 25)
I
“princìpi” nel nostro caso sono gli “arcani – archetipi”
dei tarocchi, ossia “la prima figura con cui l'inconscio si
presenta alla coscienza” (Jung)
Allo
stesso modo Jodorowsky poteva sentire questa “preparazione
perenne” quale stimolo avvertito dietro ogni operazione
vissuta coi tarocchi, concreta o spirituale, meditativa o pratica che
fosse. E al rovescio: in ogni atto quotidiano, “in mezzo al
traffico o immerso nella lettura di un libro”, Jodorowsky sentiva
emergere l'arcano, una delle sue possibili spiegazioni. È dunque
così che si può dire di esercitare l'arte dei tarocchi.
Ad
esempio, io che sto leggendo il romanzo di G. D'Annunzio, Il
Piacere, come posso non accorgermi che questa “descrizione
d'oggetti”, innocqua in apparenza, non corrisponda magnificamente alla Papessa II.
Nessun altra forma di coppa eguaglia in eleganza tal forma: i fiori entro quella prigione diafana paion quasi spiritualizzarsi e meglio dare imagine di una religiosa e amorosa offerta (G. D'annunzio, Il piacere, 2008, p.5)
Per
chi avesse voglia di indagare quel breve estratto vi scoprirebbe
alcuni temi essenziali del secondo arcano, esaltati con una
precisione e bellezza da non poter essere avvertiti – tanto meno
“trascritti” – dalle logiche di un semplice manuale di
tarocchi. assieme
Occorre
di nuovo il senso dell'artista, e così “sempre avere la
presenza di spirito, la visione, la prospettiva più ampia, per
cogliere il contesto e il quadro generale delle forze” - ossia l'intimo
insegnamento di ciascun arcano, maggiore o minore che sia.
Un
altro esempio che rammenta e intensifica, dando imagine appunto,
è riferito all'arcano XVII Le Toille:
– Segui, segui! – disse Elena, con la voce fievole, china sul parapetto, incantata dalle acque correnti (Ivi, p.9)
Con
tale frase potremmo osservare la carte de Le Toille e giungere a
sondarne il mistero, per scoprire l'energia archetipica che essa
veicola corrispondendoci.
Alla
stessa maniera molte altre “frasi ottiche' si potrebbero recuperare
– e che bell'esercizio sarebbe! –, ma non invano, poiché in sede
di consultazione tutta quanta questa preparazione sprigiona una
“forza di luce intuitiva della parola”, davvero poderosa.
Essa è il vero segreto dei tarocchi, la luce divina (Râ), che dà
al consulto il suo potere.
E così, in tale luce, come volevano gli antichi egizi, si compie il piccolo miracolo della trasformazione, per la quale si ricomincia ad essere (tu lo diventi) Re, ossia dei Faraoni.
Nella
pratica quotidiana ci si riappropria di quegli “abiti” che al
Faraone appartengono, e al “Giusto di voce” si consacrano. Tu
sarai allora Faraone, Re o Râ! Ecco lo scopo dei Tarocchi.
Dunque
le caratteristiche, i poteri, a cui il Tarocco ti risveglia sono
dentro di te. E così sarai di nuovo:
“Giusto di voce”, Faraone che può venir incoronato e proclamato abile a compiere la propria funzione in questo mondo e nell'altro (C. Jacq, I testi delle piramidi, 1998)
Sarai
con ciò “abile”, “capace”, “efficiente” in quello che
fai, in quanto “quello che fai” risulta espressione “propria”,
“autentica” del tuo essere profondo. Inconscio portato alla
coscienza.
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