domenica 31 gennaio 2016

IL VERO SEGRETO DEI TAROCCHI


Allora da me emergerà qualcosa che sarà già essenzialmente migliore di quanto sarebbe emerso senza questo lavoro preparatorio (J. Beuys)

Alejandro Jodorowsky, profondo conoscitore dei Tarocchi, psicomago, scrittore, cineasta, attore e restauratore, assieme a Philippe Camoin, del mazzo del Tarocco di Marsiglia, scrive così nella sua introduzione agli Arcani Maggiori: 
 
Dopo essermi sbarazzato di tutti quegli “iniziati” con le loro versioni “esoteriche”, ho deciso che il vero Maestro erano proprio i Tarocchi […] Usando una lanterna magica, ho proiettato gli Arcani su grandi fogli di cartone e li ho ricopiati fin nei minimi dettagli. Mi identificavo con ogni personaggio, gli davo una voce e davo una voce anche ai suoi particolari … (Jodorowsky, La via dei tarocchi, 2012, p. 115)




Il racconto di questa pratica continua. Jodorowsky si diverte incessantemente “a meditare e a ripassare per ore le carte una per una”, si pone “migliaia di domande”, ragiona in “trasparenza” come se tutte le figure potessero sovrapporsi e completare un quadro sempre più ampio e ricco di significati. Addirittura arriva a scoraggiarsi e a mollare tutto. Scarica il mazzo in un cassetto finché una notte, in sogno gli verrà indicata la via da seguire.

La conclusione di questa esperienza poliedrica è per tutti significativa, in modo particolare almeno per quanto riguarda un punto:

Chiunque affermasse: “Questo è il significato tradizionale dell'Arcano “, costui sarebbe un ingenuo apprendista oppure un disonesto ciarlatano” (Ivi, p. 116)

Il pensiero e la pratica di Jodorowsky ci fanno capire che le “frasi ottiche” dei tarocchi, i significati di ogni singola carta, sono di fatto irriducibili a poche righe di interpretazione, e che d'altro canto, molte righe, messe in fila con tono da erudito produrrebbero confusione, attrito, tensione – soprattutto in fase di consulto.

Per entrare nel vivo di un “esercizio tarologico” occorre vedere col senso dell'artista, richiamare alla “costellazione creativa di forze” in virtù di un'attitudine tanto speciale quanto ordinaria: la Preparazione. Essa è ampiezza, ma non dispersione; focalizzazione e non semplice riduzione.

In altre parole – scrive Joseph Beuys – dovevo prepararmi per tutta la vita, comportandomi in modo tale che neanche un momento sfugga a questa preparazione. Che io faccia giardinaggio o parli con le persone, che io mi trovi in mezzo al traffico o immerso nella lettura di un libro, che stia insegnando […] devo sempre avere la presenza di spirito, la visione, la prospettiva più ampia, per cogliere il contesto e il quadro generale delle forze. In altre parole, sono sempre in preparazione e progettazione […] allora avrò le risorse necessarie. Avrò i princìpi (J. Beuys, Che cos'è l'arte?, 2015, p. 25)


I “princìpi” nel nostro caso sono gli “arcani – archetipi” dei tarocchi, ossia “la prima figura con cui l'inconscio si presenta alla coscienza” (Jung)

Allo stesso modo Jodorowsky poteva sentire questa “preparazione perenne” quale stimolo avvertito dietro ogni operazione vissuta coi tarocchi, concreta o spirituale, meditativa o pratica che fosse. E al rovescio: in ogni atto quotidiano, “in mezzo al traffico o immerso nella lettura di un libro”, Jodorowsky sentiva emergere l'arcano, una delle sue possibili spiegazioni. È dunque così che si può dire di esercitare l'arte dei tarocchi.

Ad esempio, io che sto leggendo il romanzo di G. D'Annunzio, Il Piacere, come posso non accorgermi che questa “descrizione d'oggetti”, innocqua in apparenza, non corrisponda magnificamente alla Papessa II.

Nessun altra forma di coppa eguaglia in eleganza tal forma: i fiori entro quella prigione diafana paion quasi spiritualizzarsi e meglio dare imagine di una religiosa e amorosa offerta (G. D'annunzio, Il piacere, 2008, p.5)

Per chi avesse voglia di indagare quel breve estratto vi scoprirebbe alcuni temi essenziali del secondo arcano, esaltati con una precisione e bellezza da non poter essere avvertiti – tanto meno “trascritti” – dalle logiche di un semplice manuale di tarocchi. assieme

Occorre di nuovo il senso dell'artista, e così “sempre avere la presenza di spirito, la visione, la prospettiva più ampia, per cogliere il contesto e il quadro generale delle forze” - ossia l'intimo insegnamento di ciascun arcano, maggiore o minore che sia.




Un altro esempio che rammenta e intensifica, dando imagine appunto, è riferito all'arcano XVII Le Toille:

Segui, segui! – disse Elena, con la voce fievole, china sul parapetto, incantata dalle acque correnti (Ivi, p.9)

Con tale frase potremmo osservare la carte de Le Toille e giungere a sondarne il mistero, per scoprire l'energia archetipica che essa veicola corrispondendoci.

Alla stessa maniera molte altre “frasi ottiche' si potrebbero recuperare – e che bell'esercizio sarebbe! –, ma non invano, poiché in sede di consultazione tutta quanta questa preparazione sprigiona una “forza di luce intuitiva della parola”, davvero poderosa. Essa è il vero segreto dei tarocchi, la luce divina (Râ), che dà al consulto il suo potere.




E così, in tale luce, come volevano gli antichi egizi, si compie il piccolo miracolo della trasformazione, per la quale si ricomincia ad essere (tu lo diventi) Re, ossia dei Faraoni.

Nella pratica quotidiana ci si riappropria di quegli “abiti” che al Faraone appartengono, e al “Giusto di voce” si consacrano. Tu sarai allora Faraone, Re o Râ! Ecco lo scopo dei Tarocchi.

Dunque le caratteristiche, i poteri, a cui il Tarocco ti risveglia sono dentro di te. E così sarai di nuovo:

Giusto di voce”, Faraone che può venir incoronato e proclamato abile a compiere la propria funzione in questo mondo e nell'altro (C. Jacq, I testi delle piramidi, 1998)

Sarai con ciò “abile”, “capace”, “efficiente” in quello che fai, in quanto “quello che fai” risulta espressione “propria”, “autentica” del tuo essere profondo. Inconscio portato alla coscienza. 

giovedì 28 gennaio 2016

ARCHETIPO E TAROCCHI


Sembra anche come se l'insieme di immagini del tarocco fossero discese a distanza dagli archetipi dell'inconscio collettivo (Jung)

La psiche individuale è contenuta in immagini, in simbolismi strani. E quando accettiamo di vedere “la nostra prima figura con cui l'inconscio si presenta alla coscienza”, faremmo meglio ad assumerne i tratti con riferimento a quell'esempio nascosto, arche-tipico, che nell'uomo svolge perenne una «funzione direttiva», un esito sovrapersonale.

Di fatto gli “archetipi” (o simboli della trasformazione) incidono l'essenza individuale di ciascuno di noi, operano come di «boati interiori», strappando dalle viscere il senso della domanda posta in seno all'esistenza: Chi realmente siamo?

Dobbiamo capire che gli archetipi stanno “al mondo” assai prima dell'uomo, sono attivi e organizzati. Con essi crepa l'idea totale di persona, la maschera che recita il suo tram tram scompare. Lo chiariremo forse più in là cosa un archetipo ti fa. Vivi d'aneddoti. Scompari. Comprendi il segreto e nello stesso istante ti lascia andare.
All'inizio il Cancro.

Il caos è la partitura su cui è scritta la realtà (Miller)



POETICA DELL'IMMAGINE

Se Joyce nell'Ulisse – scritto a partire dall'anno 1914 e pubblicato nel 1921 – poteva chiedersi: «Chi mi ha scelto questa faccia?», allo stesso modo Carl Gustav Jung, in date più o meno coincidenti, tracciava lo schema di un inconscio affatto diverso da quello “visitato” da Freud1. La sua era la prova, de facto, di un'intuizione paradossalmente può vicina ad una «poetica dell'immagine», cioè un (ri)costituire il quadro della psiche individuale come “frammento” della creazione più ampia, universale, collettiva.

Così è difficile dire quali contenuti possono esser definiti collettivi e quali personali. È indubbio, per esempio, che i simbolismi arcaici, come quelli che s'incontrano spessissimo nei sogni e nelle fantasie, sono fattori collettivi. Tutte le pulsioni fondamentali e gli aspetti fondamentali del pensiero e del sentimento sono collettivi. Tutto ciò sulla cui universalità gli uomini sono d'accordo è collettivo, e parimenti tutto ciò che è capito, detto o fatto da tutti (Jung, L'Io e l'inconscio)

GLI ARCHETIPI DELL'INCONSCIO COLLETTIVO

Le domande in Jung volgono altrove: su quali basi l'individuazione (configurazione del Sé) può determinarsi, oppure: in che misura può essa stessa disgregarsi in virtù di contenuti con i quali la coscienza non sapeva nemmeno di avere a che fare?
Come accennato, lo studio approfondito delle mitologie e i simboli alchemici proiettarono l'antropologo svizzero verso una differente visione dell'inconscio. La sua teoria evidenzia forze «pulsive», funzioni psichiche che «saldamente fondate», «trascendono l'elemento personale» indirizzandone lo sviluppo, poiché all'uomo si presentano – e con lui interagiscono – in quanto forme già date, dunque

  1. ereditarie
  2. a decorso automatico
  3. dappertutto presenti

Queste funzioni sono chiaramente i cosiddetti Archetipi: «grandezze vitali che esercitano un'attrazione sulla coscienza», operano sulla Persona...2

ma come dice il nome, essa è solo una maschera della psiche collettiva, una maschera che simula l'individualità, che fa credere agli altri che chi la porta sia individuale (ed egli stesso lo crede), mentre non si tratta che di una parte rappresentata a teatro, nella quale parla la psiche collettiva (Jung, L'Io e l'inconscio)

TU CHIAMALE SE VUOI... EMOZIONI

Del resto, non è in virtù della «semplice figurazione simbolica», o di segni che tracciano figure percepibili come arcaiche, che l'archetipo si mostra, rivelando la sua influenza. Ciò accade semmai in forza delle mille ed una sensazione che inconsciamente avvertiamo nel guardarne o presentirne “l'espressione simbolica”. Infatti, ci spiega Corrado Malanga:

Gli archetipi costruiscono il simbolo attraverso l'emozione che sono in grado di produrre nel mondo virtuale (lobo sinistro del cervello, ossia Tempo Spazio Energia).

In questo senso IL SIMBOLO, che lo sguardo rapisce, possiede di fatto un substrato emotivo che viene percepito direttamente dall'inconscio, e con esso entriamo in comunicazione per risonanza.

È infatti questa stessa “emozione/sensazione che ritroviamo nel linguaggio simbolico dei 22 Arcani. Essa ci parla, boato interiore manifesta «Un fracasso d'un suon pien di spavento» (Inf. VIIII, 65).

MEDITARE: L'ARTE DEI TAROCCHI

Le Carte hanno dunque la medesima funzione simbolica, sono la stessa espressione di una (re)visione perenne della psiche individuale3, la cui caratteristica naturale consisterebbe nello stare sempre aperta, suggestiva, mai estinta.
In quest'ottica, lo ripetiamo, il processo simbolico (di comprensione-trasmutazione) sarà la domanda che vortica dal profondo, il buio di quella Terra, che deve portare tutti alla rinascita del corpo: Una Luce che apra il Fiore.

Meditare coi Tarocchi voleva pur dire – se vi ricordate! – creare spazio per un'altra visione del Sé, baluginante. Riflesso di luce, reflex in ogni direzione. «Chi sono io?». «Albedo!» Così la chiamavano gli alchimisti.

Tale irraggiamento dà luogo ad una specie di «mezzo» rifrangente, che riflette la luce diffusa intorno, per concentrarla sul nucleo spirituale del soggetto. Questo è il meccanismo dell'illumininazione, di cui beneficiano coloro i quali hanno visto brillare la Stella Fiammeggiante (Wirth, Il simbolismo ermetico)

I TAROCCHI: L'UTILIZZO

I Tarocchi, come gli archetipi dai quali “a distanza sono discesi”, hanno valore d'esperienza in quanto capaci di evocare situazioni su base inconscia e percettiva. La loro azione è per questo inequivocabile, da che i suoi contenuti sono l'universale patrimonio, non già mentale, ma fisico sensoriale dell'umanità. Il Tarocco stimola, suscita energie: opera simbolicamente attraverso l'emozione del consultante.

Vedete, l’uomo sempre ha sentito la necessità di trovare un accesso attraverso l’inconscio al significato di una condizione presente, perché c’è una sorta di corrispondenza o somiglianza fra la condizione prevalente e la condizione dell’inconscio collettivo (Jung)

Come altrimenti potremmo spiegare la continua lettura e rilettura di questo strumento divinatorio che ha attraversato la storia come Libro non già scritto “in versi”, bensì muto, senza grammatica e senza alcuna dialettica?

Solo l'immagine archetipica, comunicabile in virtù del sensitivo rapportarsi al mondo, sembra dar ragione al loro continuo potere evocativo, cioè: quel sentire che dà corpo all'esperienza personale, a quell'esperienza propriamente simbolica che di fatto – almeno stando alle tesi di Jung – ci attrae, ci direziona, oserei dire ci: im-persona.

«Chi ci ha dunque scelto questa faccia?»


1Com'è noto, secondo la concezione di Freud i contenuti dell'inconscio si limitano a tendenze infantili, che a causa del loro carattere incompatibile vengono rimosse. […] Secondo questa teoria, l'inconscio conterrebbe, per così dire, solo quelle parti della personalità che potrebbero benissimo essere coscienti e sono represse solo dall'educazione (Jung, L'Io e l'inconscio)
2Così come operano certamente anche i contenuti dell'Inconscio personale (quello freudiano per intenderci). Contenuti che sono del resto «originati nel nostro passato personale», all'atto della nascita, prima, durante l'infanzia, nel corso del l'adolescenza. Sono dunque i conflitti derivanti dall'educazione affettiva, sentimentale.
3«La mia vita è la storia di un'autorealizzazione dell'inconscio» (Jung, Ricordi, sogni, riflessioni)

lunedì 25 gennaio 2016

PICCOLA INDAGINE SULLA PAPESSA II.

La Papessa è un intrigo di segni meravigliosamente disegnati per creare ombre, veli e coperture. Per questo richiede almeno una piccola indagine, e pare, abbia pure una storia nascosta, per certi versi pericolosa.

La tradizione popolare vuole che una donna abbia occupato il seggio di San Pietro per qualche anno con il nome di Giovanni VIII.

Così scrive lo storico dei Tarocchi G. Van Rijnkerk nel suo libro I Tarocchi, Storia, Iconografia, Esoterismo. E molti sono i testi che trattano di questa donna che “camuffa”, o in qualche misura è costretta a camuffare la propria identità femminile per assumerne un'altra, dotata di potere e prestigio.

Tuttavia la vicenda sembra non “avere alcuna base negli avvenimenti storici reali”. I domenicani che per primi ne fecero parola, non avrebbero raccontato che una favola e nulla di più.

Eppure “[...] la tradizione sulla Papessa è stata tenace e di lunga durata, tanto che è stata necessaria l'opera di molti studiosi (seguono i nomi, n.d.r.) per sminuirla. L'altra osservazione molto importante da fare è che la Chiesa ha, durante i secoli, lasciato tranquillamente diffondere e continuare ad arricchire la leggenda della Papessa, senza preoccuparsi minimamente (G. Van Rijnkerk, I Tarocchi, Storia, Iconografia, Esoterismo, L'Airone, 2009)

Quindi dalla storia, con la “S” maiuscola, nessuna verità: la Chiesa se ne disinteressa fino a quando se ne sentirà screditata. 

Per quanto riguarda lo studio dei Tarocchi la favola in questione ci aiuta invece a sviscerare il significato del personaggio. Essa assume un valore interpretativo riguardo al ruolo rispetto al quale ci sentiamo rappresentati. È dunque al senso profondo di questa “favola” a cui possiamo guardare, per istruirci sull'arcano. In sostanza le fiabe

[...] ci permettono di dire attraverso delle storie fantastiche, inventate e allegoriche qualcosa che altrimenti non riusciremmo a raccontare (M. Gancitano, Malefica, Arte di Essere Edizioni, 2015).
 
Continua l'autrice del libro Malefica. Trasformare la rabbia femminile:

I nostri movimenti interiori e i cambiamenti sociali, il dolore, la sofferenza, i conflitti, i limiti individuali diventano – grazie alle fiabe – delle condizioni che si riescono a esprimere attraverso il linguaggio, dunque comprensibili e accettabili. Esistono, finalmente. (Ibid)

 
Se dunque raccontassimo per bene la favola di questo arcano, non come se fosse soltanto storia, e storia non è, allora, cosa vi leggeremmo?

Vi leggeremmo un contenuto psicologico, di vita reale, che molto probabilmente ha a che fare con una lunga storia di omissioni, di “racconti (di sé) non riusciti”, e per i quali la propria identità è costretta a celarsi, con tutti i patimenti che conseguono ad una perdita dell'innocenza, di uno stato verginale di sé.

Buona parte della sfera emotiva viene ad essere tolta, coperta o velata. Addirittura sacrificata. È come se la fiaba della propria vita, e così “i nostri movimenti interiori”, non venissero proiettati al di fuori di quella veste e del libro fatto di memorie, di cuciture ermetiche.

Tra tutti gli arcani la papessa è indice di un ruolo molto forte, difficile da superare.

Ella (e dunque noi) resiste nella sua intima risonanza con una parola silenziosa, quella parola che è luce solo se portata al mondo di cui altri assieme ad essa beneficeranno. È proprio questo altro a mancare: da una parte il proprio corpo vissuto, veicolo nel mondo; dall'altra, l'amorevole mano di un essere posto al di fuori delle proiezioni interne di cui vive questo secondo arcano (Il libro è per l'appunto una sorta di compendio dell'universo interiore della Papessa). Possiamo notare che agli antipodi della Papessa troviamo non a caso la franca nudità, carnosa e vitale de LE TOILLE XVII. Capace senza indugi di riversare tutte quante le proprie energie, i flussi carichi di tensione e creatività

La Papessa congela dunque la propria grande risorsa: la “parola silenziosa”. Con quest'ultima intendiamo l'essenza unica che si cela dietro la persona, ossia l'unicità, ciò che fa essere un uomo un uomo singolare, e una donna una donna singolare.


Oppure Jodorowsky sintetizza questa unicità come “quel testimone immacolato che ci portiamo dentro, a volte senza saperlo, e che rappresenta per ciascuno di noi una miniera di purificazione e di fiducia, una foresta vergine ancora da sfruttare, fonte di potenzialità” (Jodorowsky, La via dei Tarocchi, 2012)

Tuttavia essa è priva dei mezzi dell'espressione. Ma la realtà farà di tutto per estrarre questo dono senza che vi sia bisogno di nasconderlo sino a soffocarlo.

Ecco il senso trasformato di una parte truce della non–storia, favola o leggenda di questa donna creatrice; la quale per ben “due anni, quattro mesi, cinque giorni” resistette nella figura di Giovanni VIII. Resistette fino al punto di esplodere.

La Papessa sarebbe stata resa incinta da un suo servo e, ignorando l'epoca in cui sarebbe avvenuto il parto, avrebbe partorito in pieno giorno, durante una processione, sulla pubblica via, a Roma, fra la chiesa di San Clemente e palazzo Laterano. Il popolo furioso, o il clero che la circondava, l'avrebbe uccisa immediatamente assieme al bambino e avrebbe seppellito entrambi sul luogo del parto. Nel posto in cui ella sarebbe caduta da cavallo in preda alle doglie, e dove sarebbe stata uccisa, i romani avrebbero posto una statua con un'iscrizione riportata differentemente:

  1. Pietro, padre dei padri, sia benevolo verso il parto della Papessa.
  2. Padre dei Padri, sii benevolo verso la papessa nei suoi parti.
  3. Il Papa, padre dei padri, essendo papessa, ha messo al mondo un piccolo papa.

Fine della storia. Tuttavia un altro Arcano, LE PAPE V appunto, nasce da questo archetipo appena descritto. Del resto, come recita una canzone di Giorgio Gaber, «anche lui stranamente, come tutti era nato da un ventre. Ma purtroppo non se lo ricorda o non lo sa”.